Replying to Kalokagathia
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Matrona MalicePosted: 24/12/2012, 12:27
Kalokagathia è l'adattamento di un'espressione greca (καλὸς κἀγαθός, kalòs kagathòs, crasi di καλὸς καὶ ἀγαθός, kalòs kai agathòs ).

Il termine esprime come sostantivo astratto il concetto condensato nella coppia di aggettivi καλός καγαθός ("kalòs kagathòs" è la crasi di καλός καi αγαθός), la cui polirematica significa, letteralmente, bello e buono: quest'ultimo aggettivo deve essere anche inteso come sinonimo di "valoroso" in guerra.

Nella cultura ellenica veniva pertanto così indicato l'ideale di perfezione umana: l'unità nella stessa persona di bellezza e valore morale, un principio che coinvolge dunque la sfera etica ed estetica ed estende la propria influenza anche sulla produzione artistica (come nel celebre Discobolo di Mirone). Il concetto fu poi recepito dai Romani.

Oltre a questo la kalokagathia in senso lato indica la reale fusione, per la cultura greca antica, di etica ed estetica; per cui ciò che è bello deve necessariamente essere buono e viceversa.
Di conseguenza ciò che è interiormente cattivo sarà anche brutto fuori.
È un concetto antico che, malgrado il suo indubbio fascino, è ritenuto ormai superato e non più condivisibile.

Nel mito, Achille e Memnone incarnano totalmente il concetto greco; l'esatto contrario, invece, è rappresentato da Tersite (un soldato semplice che compare in un tratto dell'Iliade, quando esorta i commilitoni ad abbandonare la guerra di Troia, ma viene interrotto da Ulisse che, incitato dagli dei, convince i soldati a restare, in disaccordo con Tersite, che verrà brutalmente picchiato dall'eroe di Itaca per il tentativo di ammutinamento).

Vi sono peraltro due personaggi mitologici per i quali non si può parlare di kalokagathìa nonostante la loro grande bellezza, poiché non si mostrano valorosi.
Si tratta di Paride, soldato vile e infingardo durante la decennale guerra di Troia (da lui anche provocata), e di Narciso, ragazzo indifferente alle armi e all'amore, tranne quello per sé stesso.

Nella filosofia greca

La prima elaborazione filosofica del concetto arriva con Platone.
In Plotino, la visione della verità e la contemplazione di Dio sono posti come fine ultimo della vita umana. L’anima non deve fermarsi alla bellezza riconoscibile con i cinque sensi in quegli oggetti dove esiste una forma prevalente sulle altre che le rende un tutt’uno omogeneo, ma tendere all’idea di bellezza in sé, proprie di tutte le idee e che può essere colta solo con la mente, non con i sensi. Dal Bene emana questa bellezza, sebbene siano identici, il Bene è una realtà ancora al di sopra della bellezza delle idee.